socio wwf

Google

nel Web nel Sito...

Gli amici dell’uomo che ha fatto un viaggio da lupi

Una guida alpina italiana ha allevato due cuccioli originari del Canada e li ha portati con sé nella traversata delle Alpi Scandinave. Ora racconta in un libro la sua avventura. Epilogo incluso

Lupi

Appena il cucciolo di lupo grigio lo vide da dietro la rete, gli corse incontro, travolgendo i suoi otto fratelli. E quando Ario Sciolari, guida alpina del Cadore, lo prese in braccio, il piccolo iniziò a leccano, come poi avrebbe sempre continuato a fare. É così almeno che ricorda quel primo incontro lo stesso Sciolari in Il sogno del lupo, dal 14 luglio in libreria, un diario della sua traversata delle Alpi Scandinave: 3000 chilometri percorsi in 133 giorni, con una temperatura media di -25°, ma, soprattutto, in solitaria, o meglio, con la «sola» compagnia di due lupi. Perché, dopo l’incontro folgorante con Chinook, il piccolo lupo che adotta, Sciolari decide di prendere anche Mohawk, uno dei fratellini, affinché il primo abbia almeno un’amicizia «lupesca». I due cuccioli Sciolari li aveva trovati non distanti dai proprio paese, San Vito di Cadore. In Vai Pusteria si era sparsa la voce: una coppia di lupi adulti aveva avuto una cucciolata. Appartenevano a un indiano proveniente dalle Montagne Rocciose del Canada, che da qualche tempo, su invito di una associazione ambientalista di Dobbiaco, organizzava «giornate di vita nativa» in montagna, tra i boschi di abeti rossi. Dopo una serie di visite per familiarizzare, Sciolari portò con sé i due cuccioli di tre mesi e si trasferì con loro a 1600 metri di quota accanto a un laghetto in mezzo a pini, cembri e larici secolari.

Qui una tenda, un sacco a pelo e un focolare divennero il «campo», dove i cuccioli di lupo divennero grandi.

«Ho stravolto completamente la mia vita per loro, perché potessero crescere da lupi» dice la guida. «Non li ho mai legati, né li ho mai lasciati soli. Quando, una volta la settimana, scendevo in paese a fare provviste, I compresi i 15 chili di carne e ossa necessari a sfamarli, li portavo con me in auto, dove aspettavano tranquilli. I lupi si affidano al loro capobranco, che per loro ero io, senza, però, diventarne dipendenti come i cani».

I cuccioli crescono così tra i giochi, Le corse nel boschi, le coccole del loro padrone, mentre la notte gli si intrufolano nel suo sacco a pelo. Intanto, Sciolari prepara il suo lungo viaggio. Non è il primo: ha già attraversato le Alpi e i Pirenei, il Mount Logan in Canada e il Mount Blackburn in Alaska. «Non avevo in mente di battere un record o di fare qualcosa di eccezionale, volevo recuperare l’armonia con la natura che si è persa». La traversata delle Alpi Scandinave, dal suo punto di vista, è l’ideale: il gelo, le bufere, i colori dell’aurora boreale, la fatica, lo smarrimento e la gioia del ritrovarsi solo in un paesaggio I selvaggio. Sono le sensazioni che emergono dalle pagine del libro-diario Ma la vera cifra del volume è la celebrazione del lupo, «della sua compostezza, del suo silenzio e del suo appartenere senza un fremito a quanto lo circonda, alla neve leggera che sembra attraversano. Come dicevano i nativi d’America sembra Sunkamanitu Tanka, colui che comunica con gli spiriti».

Finito il lungo e avventuroso viaggio, i lupi tornano con il loro «capobranco» ai campo sulle Dolomiti. Ma ormai non sono più cuccioli, hanno bisogno di grandi spazi e di indipendenza. Si allontanano sempre più spesso, percorrendo nelle loro esplorazioni anche 150 chilometri. «Ma a spingerli era solo la curiosità» spiega Sciolari. «Al cibo ho sempre provveduto io». Un giorno arrivano fino ai I boschi che circondano Belluno: c’è chi li vede e chiama l’accalappiacani. Quando Sciolari va a riprenderli al canile, li trova tutti composti ad aspettarlo. Un’altra volta si spingono sino alle piste da sci di Cortina d’Ampezzo: Mohawk, goloso di cioccolato,si fa guidare dal profumo di una torta Sacher, entra in un rifugio e divora il dolce salendo con le zampe sul banco-ne del bar, tra il divertimento dei clienti. «Non hanno mai fatto del male a nessuno» assicura Sciolari. «Alle volte potevano scoppiare risse tra loro, per esempio per il cibo, ma tutto si risolveva in pochi secondi di ringhiare e digrignare di denti per far paura. Poi la quiete, senza che nessuno dei due si fosse fatto un graffio».

Ma questi lupi cresciuti in semicattività In che cosa si differenziano dal cani? Cosa resta della loro natura selvaggia? «Il cane domestico, pur derivando dai lupo, è totalmente dipendente dal suo padrone per il cibo» risponde il biologo Simone Ricci, dell’Istituto di ecologia applicata di Roma. «Nel lupo, anche in i quello ‘addomesticato”, restano l’istinto di predazione e l’abilità di caccia, che non si possono sopprimere com-pletamente. Ma, per quanto possa essere romantica l’idea di prendere un lupo e lasciarlo vivere il più possibile m libertà, dal punto di vista biologico non I ha alcun significato rispetto alla con-servazione della specie. Inoltre, l’animale adottato non sviluppa la diffidenza e la paura nei confronti dell’uomo insite nella specie selvatica. E questo può essere pericoloso sia per l’animale sia per gli esseri umani».

Forse è proprio per mancanza di diffidenza e paura che, un giorno di pri-mavera di due anni fa, poco prima di i partire con il padrone per le Montagne Rocciose canadesi, Mohawk si è lasciato avvicinare da una persona che lo ha ucciso con un colpo di badile. Passa un mese e suo fratello Chinook viene in-vestito da un’auto. «E non è stato un incidente» dice Sciolari, ricordando i suoi compagni d’avventura. Il sogno del lupo, naturalmente, è dedicato a loro.

 

di Francesca Amoni tratto da "il Venerdì" di Repubblica

 

Torna alla storia e all'origine del cane

Torna su

Copyright © lupi.difossombrone.it tutti i diritti sono riservati